Il 2012 per le aziende italiane non si è chiuso affatto
bene. 12.000 sono i fallimenti, 2.000 le procedure non fallimentari e 90.000 le
liquidazioni. Oltre 104 mila imprese sono entrate in crisi o hanno dovuto
chiudere i battenti.
Si tratta di un valore che supera quello già elevato del
2011 (+2,2%).
I dati di Cerved Group mostrano che nel 2012 la recessione
ha avuto un impatto notevole nel comparto dei servizi pari al +3,1% e nelle
costruzioni al +2,7%, mentre la manifattura - anche se con un numero di
fallimenti che resta a livelli critici - ha registrato un calo rispetto al 2012
(- 6,3%).
Dal punto di vista dei territori, le procedure sono
aumentate nel Nord Ovest (+6,6%) e nel Centro (+4,7% , ma sono rimaste ai
livelli dell'anno precedente nel Sud e nelle Isole (‐0,4%). Nel Nord Est i casi
sono invece diminuiti (‐ 4,3%), un dato compensato dall'incremento forte delle
liquidazioni e che ha portato il totale di chiusure in quell'area a superare quota
20 mila (+8,6% sul 2011).
Il fenomeno delle liquidazioni volontarie ha riguardato
tutta l'economia: se si considerano le "vere" (non contando le
cosiddette scatole vuote) società di capitale, vanno registrati aumenti con
tassi a due cifre nel terziario (14%), nelle costruzioni (13,8%) e
nell'industria (13,1%).
Dal 2009 si contano più di 45 mila fallimenti. Il numero
maggiore ha riguardato imprese del terziario, 21.000, ma i dati indicano che è
stata l'industria a pagare il conto più salato alla recessione: il totale delle
societa' di capitale manifatturiere che sono fallite tra il 2009 e il 2012 sale
al 5,2% di quelle che avevano depositato un bilancio valido all'inizio del
periodo considerato, contro una percentuale pari al 4,6% nelle costruzioni e al
2,2% nei servizi.
Per completare il quadro aggiungo il grafico della produzione industriale italiana.
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